Ogni anno all’inizio del mese di dicembre il CENSIS presenta il Rapporto sulla situazione sociale del Paese.
Così come nel 2023 avevamo proposto ai nostri lettori una riflessione su alcuni dati ed evidenze del rapporto CENSIS, anche quest'anno pubblichiamo una riflessione su un tema molto caro alla nostra rivista "Formazione & cambiamento": la funzione dell'istruzione e della formazione per la crescita del nostro Paese.
Il 58esimo rapporto CENSIS nel capitolo 2024 "La società italiana al 2024" dedica un'accurata analisi a "La fabbrica degli ignoranti". Un'indagine campionaria realizzata a beneficio del rapporto disegna una evoluzione o meglio una involuzione delle conoscenze e delle competenze degli italiani. Nonostante aumentino i laureati (nel 2011 erano il 13,3%, attualmente sono 8,4 milioni, ovvero il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni) e gli analfabeti rappresentino un’esigua minoranza (260.000), altri dati descrivono una situazione concretamente preoccupante.
Gli studenti che non raggiungono i traguardi di apprendimento in italiano sono: il 24,5% alla fine della scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media e il 43,5% all'ultimo anno delle superiori (che diventa l’80,0% negli istituti professionali). In matematica gli studenti che non raggiungono gli obiettivi di apprendimento sono: il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie inferiori e il 47,5% alle superiori (dato che raggiunge l’81,0% negli istituti professionali).
Inoltre, l'indagine rivela che il 55,2% degli intervistati non sa che Mussolini fu destituito nel 1943, il 30,3% non sa chi fosse Giuseppe Mazzini (in questo caso i giovani costituiscono il 55,1%), e un'ampia percentuale è ignara di eventi storici come la Rivoluzione francese, lo sbarco sulla Luna e la caduta del muro di Berlino. Anche la conoscenza di autori e opere letterarie italiane è limitata: molti attribuiscono erroneamente opere come "L'infinito" di Leopardi a D'Annunzio, pensano che Eugenio Montale sia stato un autorevole presidente del Consiglio dei ministri degli anni ’50 (il 35,1%) e credono che il sommo poeta Dante Alighieri non sia l’autore della Divina Commedia (i 6,1%).
Un ulteriore dato preoccupante è l'incapacità degli italiani di collocare correttamente città straniere e italiane sulla carta geografica: il 23,8% degli italiani non sa che Oslo è la capitale della Norvegia e il 29,5% non sa che Potenza è il capoluogo della Basilicata. Inoltre, il 12,9% degli italiani non sa che 7 per 8 fa 56. L'ignoranza si estende anche ai meccanismi istituzionali: più della metà degli italiani (53,4%) non attribuisce correttamente il potere esecutivo al Governo, ma al Parlamento o alla magistratura.
Tra gli stereotipi culturali più diffusi in Italia, oltre un quarto degli italiani (26,1%) crede che ci siano 10 milioni di immigrati clandestini nel Paese, mentre il 20,9% pensa che gli ebrei dominino il mondo tramite la finanza. Inoltre, una parte degli italiani ritiene che l'omosessualità sia una patologia genetica (il 15,3%), l'intelligenza sia legata all'etnia (13,1%), la propensione a delinquere abbia basi genetiche (il 9,2%).
Questo quadro evidenzia una progressiva perdita di conoscenze di base, rendendo i cittadini più disorientati e vulnerabili, e sottolinea l'urgenza di rinnovare l'impegno nell'istruzione e nella formazione.
L'ignoranza diffusa tra gli italiani anche nel prossimo futuro rappresenta una minaccia per la democrazia, poiché rende difficile per i cittadini decodificare le proposte politiche e riconoscere quelle basate su false premesse o fini manipolatori. Questa condizione può favorire la diffusione di convinzioni irrazionali, pregiudizi antiscientifici e stereotipi culturali.
Seppur il rapporto descriva questi indicatori in modo puntuale, dati che dovrebbero preoccupare i nostri governanti e amministratori, non dedica un approfondimento alle cause di questa involuzione.
Un'analisi socio-economica può comunque supportarci nell'individuazione alcune possibili cause.
Una causa è la progressiva e persistente diminuzione di risorse economiche destinate all'istruzione, alla formazione e alla ricerca ormai da diversi decenni. Il contenimento della spesa pubblica ha comportato per molteplici governi italiani la necessità di tagliare risorse per la scuola e l'università, così come per la sanità e il sociale.
Secondo i dati Istat, nel 1991 la spesa pubblica per l'istruzione rappresentava il 5,38% del PIL. Nei decenni successivi, questo valore ha subito una graduale riduzione: nel 2000 era sceso al 4,63% e nel 2022 la spesa pubblica per istruzione rappresenta il 4,1% del Pil, a fronte di una media Ue del 4,7%.
Nel 2022 due paesi, Svezia e Belgio, hanno superato la quota del 6%, mentre di poco al di sotto di questa soglia si collocano Estonia, Slovenia e Finlandia. La Francia, che spende il 5,2%, seppur in deficit di risorse economiche, ha deciso di tagliare le risorse destinate a altri importanti settori, come per esempio i trasporti, ma non quelle per bambini e giovani.
Tagliare i finanziamenti destinati all'istruzione e alla formazione comporta una riduzione delle risorse per l'adeguamento degli edifici scolastici e stipendi più bassi per insegnanti e docenti. Ma soprattutto comporta una mancanza di investimenti in innovazione, investimenti che potrebbero trasformare l'istruzione, rendendola più dinamica, inclusiva ed efficace nel preparare gli studenti alle sfide del futuro. Esempi di innovazione nella scuola possono includere diverse iniziative e approcci moderni volti a migliorare l'istruzione e l'apprendimento degli studenti, quali l’integrazione della tecnologia nella didattica, l’Insegnamento delle materie STEAM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Arte e Matematica), le metodologie didattiche collaborative.
Alla riduzione delle risorse per istruzione e formazione si aggiunge una prospettiva di sviluppo del nostro Paese negativa rispetto alle più o rosee previsioni di inizio 2024. Come sottolineato sempre dal rapporto CENSIS le prospettive di crescita dell’Italia si vanno rapidamente annuvolando, dopo la ripresa economica del post-pandemia.
Gli italiani galleggiano, alcuni con maggiore facilità, altri con molteplici difficoltà. Ma in un contesto in cui l'obsolescenza tecnologica galoppa e gli scenari economici e politici si modificano velocemente, non ultimo a causa dei molteplici conflitti in vari paesi, galleggiare non è più una via per sopravvivere.
L'investimento in istruzione e formazione deve ritornare ad essere una priorità per consentire lo sviluppo individuale e l'affermazione professionale delle persone, delle organizzazioni, della società. Una volta per tutte va invertita la rotta degli investimenti: scegliere di dare un peso maggiore all’istruzione e all’apprendimento, rimettendo al centro la scuola, l’università e la formazione. Il rischio è sicuramente scontentare piccole e grandi lobby, ma il futuro delle nostre giovani generazioni è l’unica strategia per rendere il nostro Paese più forte e competitivo.
Anche la nostra bella Costituzione nell’articolo 3 recita: È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.